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Disturbo borderline di personalità: o bianco o nero

  Cancrini nel 2006, nel suo libro “Oceano borderline”, scriveva: «La manifestazione più semplice e più comune del funzionamento borderline è una mente che tende a dare giudizi estremi (‘o bianco o nero’) su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. La mente che funziona a un livello borderline utilizza la scissione e giudica tutto cattivo o tutto buono, senza sfumature, e ha forti difficoltà a cogliere la gradazione di positività e negatività in una stessa persona o in uno stesso oggetto».

 

  Uno dei tratti distintivi del disturbo borderline di personalità è proprio l’utilizzo della “scissione”, che rappresenta una difesa essenziale dell'«organizzazione borderline di personalità», concetto introdotto da Kernberg a partire dal 1967.

 

  L’acquisizione di questa modalità difensiva, secondo Mahler, ha origine nell’infanzia, quando il bambino è chiamato a svolgere, tra gli altri, due compiti evolutivi fondamentali: nel primo anno di vita, in particolare,  attraverso la “fase di individuazione”, egli impara a riconoscere sé stesso come separato dalla madre; in seguito, una volta che avrà una distinzione chiara tra immagine di sé e dell’oggetto e una memoria stabile, è chiamato a svolgere il successivo compito evolutivo, ossia l’integrazione le rappresentazioni buone e cattive di sé e dell’oggetto.

 

  Tale capacità, in un contesto di crescita sano, si sviluppa aumentando con l’età, fino a raggiungere, nell’età adulta, una maggiore stabilità, fermo restando la possibilità, in situazioni di particolare stress emotivo, di regredire.

 

  Nel caso in cui il processo evolutivo venga compromesso da cure non adeguate, ambiente non favorevole e traumi, il bambino continua ad utilizzare la scissione come strumento per difendersi dall’angoscia che determinate situazioni provocano. Tale regressione a livelli di funzionamento borderline, di conseguenza, interferendo con lo sviluppo della capacità di integrare le rappresentazioni buone e quelle cattive, potrebbe favorire lo sviluppo di una soglia di attivazione del funzionamento borderline più bassa, ponendo le basi di quelli che saranno i comportamenti disfunzionali da adulto. 

 

  Lo strutturarsi di questa modalità di funzionamento ha come conseguenza lo sviluppo di rappresentazioni di sé e dell’altro non integrate, le quali conducono il paziente borderline a percepire sé stesso e gli altri a volte in modo assolutamente positivo, altre in modo assolutamente negativo, attraverso un funzionamento rigidamente categoriale, come se conoscesse solo due colori, il bianco e il nero, senza possibilità di sfumature.

 

  Questa difficoltà si ripropone nelle relazioni interpersonali nelle quali il paziente borderline oscilla tra una continua idealizzazione e svalutazione dell’altro, istaurando rapporti interpersonali difficili da gestire. Per tale ragione tra gli scopi del trattamento psicoterapeutico della patologia borderline, c’è, tra gli altri, il favorire la costruzione di una identità salda, per aiutare il paziente ad acquisire un buon esame di realtà che gli permetta di relazionarsi e interagire in modo più adeguato.

 

Dr.ssa Marica Izzo

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