E’ una domanda legittima di un genitore, non di rado emersa dal confronto con le maestre, nella quale ci si imbatte spesso nella pratica clinica in età evolutiva.
Proviamo a parlare di uno dei disturbi del comportamento più ricorrenti con cui genitori ed insegnanti si trovano a fare i conti: il disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP).
Conoscerne meglio le caratteristiche consentirà a ciascuno di attribuire il giusto significato a comportamenti che potrebbero apparire insensati, alimentando la motivazione a farvi fronte quando metteranno a dura prova la nostra pazienza.
Il DOP è legato ad una pluralità di fattori di rischio: innanzitutto quelli di natura biologica predisponenti (scarsa capacità di controllo e regolazione delle azioni, ascrivibile al funzionamento dei lobi frontali, alterati livelli di serotonina e testosterone…); inoltre fattori familiari (tra cui una scarsa qualità di attaccamento dovuto ad una incoerenza dell’atteggiamento genitoriale, oscillante, per esempio, da un affetto smodato ad una emotività fredda ed indifferente…); infine fattori ambientali (svantaggio economico, modelli aggressivi vissuti nei contesti sociali di appartenenza…).
Nell’approccio ad un bambino con DOP bisogna sempre tener presente che il comportamento negativo non è intenzionale ma è in buona parte determinato da una difficoltà metacognitiva che inficia la capacità di sviluppare un’adeguata consapevolezza dei sentimenti del prossimo.
Ciò non determina a priori il fallimento di qualsiasi approccio educativo.
Cosa possiamo fare, dunque, concretamente per favorire questo importante compito?
· Evitiamo di rispondere alle provocazioni mettendoci in simmetria con il bambino, formuliamo richieste positive e non divieti, rimanendo calmi ma irremovibili fino a che la nostra richiesta non venga esaudita.
· Stabiliamo una priorità rispetto ai molteplici problemi da risolvere: non possiamo pretendere tutto insieme, perciò concentriamoci su uno degli aspetti più problematici; non di rado trasversalmente si risolvono anche i meno complicati.
·
Privilegiamo un atteggiamento premiante ad uno punitivo ed umiliante: mortificare il bambino (vale anche per gli insegnanti) non sortisce alcun
effetto se non l’esacerbazione del comportamento indesiderato, piuttosto premiamo gli atteggiamenti positivi o quelli che più si avvicinano al risultato che vorremmo conseguire. Ho trovato
personalmente utile avvalermi di un sistema a punti, una tabella in cui segnare il comportamento perseguito e il premio attribuito, separati da caselline in cui inseriremo segnapunti, fino al
conseguimento dell’obiettivo. Il punteggio non deve essere né troppo basso né troppo alto ma calibrato sulle potenzialità del bimbo.
La punizione consiste già nel non poter
accedere al premio da lui scelto e agognato. Infine organizziamo spazi ed ambienti casalinghi e scolastici in
modo da indurre quanto meno possibile in tentazione il nostro bambino (esempio: a scuola il giubbino lo appenderà sulla spalliera della propria sedia e avrà il cestino dei rifiuti vicino al banco
in modo da non dover attraversare la classe, avendo occasione di importunare gli amichetti che incontra…).
Dr.ssa Barbara Conversione
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