
Il rifiuto di cibi solidi può
manifestarsi dopo lo svezzamento, quando il piccolo ha comunque imparato a masticare oppure intorno ai 4/5 anni.
Nel primo caso potremmo trovarci più
frequentemente di fronte ad una questione di neofobia, ossia rifiuto di assaggiare cibi nuovi e di diversa consistenza. In questo caso non è bene forzare il bambino ed è controproducente
innescare meccanismi di premio o punizione. Semplicemente, lasciamolo sperimentare il cibo nelle diverse consistenze con tutti i sensi ed in maniera graduale, senza farci sopraffare dall’ansia
che non mangi a sufficienza o che possa strozzarsi, ritornando a pappine e biberon pur di rassicurare noi stessi.
I bambini hanno capacità di
autoregolazione innate ma tempi di sviluppo variabili.
Nel secondo caso è piu’ ricorrente che
il rifiuto di masticare sia il modo di comunicare un disagio, legato per esempio ad un vissuto d’ansia o ad un evento traumatico come l’esperienza di un boccone di cibo andato pericolosamente di
traverso.
I comportamenti alimentari sono in
entrambi i casi anche una metafora dell’amore: si riproduce a tavola un’ambivalenza che connota la relazione con i genitori, veicolando richieste di attenzione, ricatti ed esercizio di controllo
sugli adulti, tentativi estremi di affermare il proprio spazio di autonomia o una modalità per censurare la propria aggressività percepita come maltollerata dalle figure d’amore e minacciosa per
la relazione.
Consultare un esperto aiuterà
innanzitutto a discriminare l’eziologia di tale rifiuto, vagliando la possibilità di sussistenza di un disturbo alimentare strutturato e intercettando le modalità relazionali più consone a
ciascun bimbo per aiutarlo a superare in serenità questo scatto evolutivo.
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