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È possibile modificare il funzionamento del nostro patrimonio genetico? Il potere delle influenze esterne nei “primi mille giorni di vita” di Annarita Di Somma

Le ultime scoperte sul genoma umano appaiono rivoluzionarie dal momento che hanno soppiantato il concetto di immodificabilità del patrimonio genetico. Oggi sappiamo che il sistema nervoso centrale è dotato di neuro-plasticità ed è in grado di modificare la propria struttura, connettività e funzione, in relazione all’esperienza, soprattutto in certe finestre di tempo in cui la neuro-plasticità è massima.

 Gli input ambientali, seppure non sono in grado di interferire direttamente sulla sequenza-base del DNA, possono però modificarne il software molecolare, detto epigenoma, influendo sul suo funzionamento.

Ma capiamo meglio che cosa significa.

Gli studi degli ultimi 25 anni sul genoma umano hanno dimostrato che nelle prime fasi della vita, o meglio dal periodo embrio-fetale alla prima infanzia, il nostro cervello è dotato di notevole plasticità, o meglio è in grado di modificarsi, in base alle stimolazioni ambientali che riceve, così da permettere all’organismo di programmare il proprio sviluppo nel modo più idoneo al proprio specifico ambiente.

 Nei primi mille giorni di vita, periodo che va dal concepimento al compimento del secondo anno di vita postnatale, (ma anche successivamente nell’adolescenza), tali influenze esterne possono causare persino modificazione epigenetiche e influire dunque sull’espressione del fenotipo, ovvero sulle caratteristiche morfologiche e funzionali dell’organismo. È a partire da queste scoperte che è nato il progetto “i primi 1000 giorni di vita”, proprio con lo scopo di potenziare al massimo le stimolazioni positive esterne in questo periodo.

Queste scoperte ci dicono che gli stimoli e le informazioni che giungono al feto, attraverso la madre, e poi al lattante e al bambino in questo periodo di massima neuro-plasticità, determinano nell’immediato il corretto sviluppo di organi e tessuti, in particolare del cervello e nel medio/lungo termine lo stato di salute del singolo individuo e delle generazioni future.

Dunque, tutto ciò restituisce ai genitori, ai professionisti sanitari ed in particolare a noi psicologi, il dovere, ma anche il potere di mettere in atto interventi ad ampio spettro che favoriscano i più idonei e utili input per un sano sviluppo psicofisico del nascituro. Per input esterni non ci riferiamo solo all’attenzione a non esporsi ad agenti inquinanti, al fumo ai farmaci superflui, al sottoporsi alle cure mediche adeguate e ad una sana alimentazione, ma assume grande importanza anche la salute psichica della mamma e la qualità delle relazioni madre-bambino, nonché di tutte le relazioni intra ed extrafamiliari. L’attenzione agli aspetti psicologici della mamma del nascituro, dunque, acquisisce un ulteriore valore e significato, in quanto viene a far parte di quegli input esterni in grado di modificare il funzionamento del software genetico.

Tali scoperte inoltre, hanno aperto nuove strade e speranze nell’ambito dell’evoluzione di molti disturbi del neurosviluppo. Come sapientemente afferma la professoressa Daniela Lucangeli, se conosciamo il percorso dello sviluppo neurologico ed identifichiamo i punti di vulnerabilità dei tempi di sviluppo, laddove alcuni comportamenti attesi non si manifestano, possiamo e dobbiamo stimolare il piccolo ad ‘accendere un interruttore’ e aiutarlo a superare le difficoltà, in modo da sfruttare al massimo quel periodo di massima plasticità.

Dunque, oggi sappiamo che tutto può essere influenzato dall’esterno se sfruttiamo i giusti tempi evolutivi di ogni funzione: il linguaggio, i processi di memoria, l'intelligenza in generale, l'intelligenza numerica, le emozioni.

Abbiamo una grande responsabilità sullo sviluppo psicofisico dei nostri bambini e delle generazioni future, ma anche un grande potere di influenzare al meglio la loro espressione genetica.

 

Annarita Di Somma

Alchimie Età Evolutiva

 

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